Sulle prime luci (qui albeggia davvero presto!) si odono i primi rumori, i
cigolii delle ruote dei tram, che stridono sulle rotaie arrugginite oppure appena
lubrificate. Migliaia di persone fermano la sveglia, indossano le loro
pantofole ancora invernali e mettono su il caffè o l’acqua per il tè. I loro respiri
si uniscono in un coro silenzioso e perpetuo, spingendo fuori l’anidride
carbonica che si confonderà con il mondo, di tutti e di nessuno.
È il lento incedere dell’uomo nella sua storia.
Come gli alberi, che si stagliano alti nelle foreste, più longevi e sereni di
noi, che respirano all’unisono e non si stancano mai, non ci provano mai, a
stancarsi, a morire.
Aspetto che la moka rumoreggi e lascio bruciare la
mia prima sigaretta della giornata osservando il mondo da un balcone. È un
balcone speciale, quello dove ho consumato tutte le mie sigarette mattutine,
prima degli esami, prima degli appuntamenti importanti, prima delle giornate
che si sarebbero rivelate “niente”. Ho fumato lì leggendo notizie, snocciolando
pensieri buoni e cattivi, facendo propositi, progetti sugli abiti con cui avrei
sostituito il pigiama.
La moka rumoreggia.
Si parte.
Si parte.
Buongiorno Milano!
E che cavolo questo maledetto riflesso condizionato!
E che cavolo questo maledetto riflesso condizionato!
Il passo milanese!!! Quel
passo che è a metà tra una camminata e la corsa dei maratoneti. Per quanto si
possa provare a camminare piano, a gustarti un’andatura rilassata, diventa
inevitabile: ti associ ad un mondo di gente svelta che corre e scappa di qui e
di lì, perché è in ritardo, perché deve percorrere quei dieci buoni kilometri
per raggiungere il posto di lavoro, il supermercato più economico, la scuola
dei figli...
E mai come alle sette del mattino puoi leggerlo
forte e chiaro negli occhi dei passanti, in quelli che riesci ancora ad incrociare,
perché in effetti molti hanno già gli occhi altrove, sull’i-pad, sull’i-phone,
sul tabellone contaminuti dell’autobus.
C’è tanta vita e altrettanta morte.
C’è un mucchio di gente, che varia nel colore, nell’età, nel peso, nei costumi, eppure sei così tremendamente e fottutamente solo.
Puoi attaccarti ai piccoli gesti di umanità: la battuta di un ragazzo adolescente, il sorriso di una donna dai capelli bianchi come la neve e una mano sul carrellino della spesa, una mamma che carezza la guancia del figlioletto…
E sei già nella metro!
La metro, che rimarrà sempre una ‘cosa’ così schifosa e, allo stesso tempo, così banalmente affascinante.
La metro, che rimarrà sempre una ‘cosa’ così schifosa e, allo stesso tempo, così banalmente affascinante.
Gruppi di persone ammassate, contatto di pelli e capelli, borse da lavoro che
toccano zaini su cui pennarelli indelebili hanno lasciato tracce di amori e di dediche
estrapolate dai pezzi in voga di rapper tatuati.
Un vagone che si trasforma in un contenitore di
tutti gli odori e i sapori e i pensieri del mondo.
Che se lo prendessero così com’è e lo lanciassero su
Marte, potrebbero tranquillamente porre le basi per popolare un nuovo pianeta,
tale e quale alla Terra, né meglio, né peggio.
Milano è così. Ti illudi di vivere in una grande
città e poi ti accorgi che ti muovi e respiri in un paio di kilometri quadrati,
con il tuo salumiere di fiducia, lo sportello della tua banca, il tabacchino di
fronte casa!
Ti muovi sottoterra, sali su un vagone e, senza rendertene conto, riemergi in quello che ti sembra un altro paese e che, in effetti, nella tua terra d’origine lo sarebbe!
Ma a Milano no, a Milano tutto fa brodo!
Ti muovi sottoterra, sali su un vagone e, senza rendertene conto, riemergi in quello che ti sembra un altro paese e che, in effetti, nella tua terra d’origine lo sarebbe!
Ma a Milano no, a Milano tutto fa brodo!
Milano Milano (senza hinterland) fa un milione,
trecentotrentatre mila e oltre di abitanti, sparsi su una superficie di 181 km²
con una densità media di più di settemila persone per km².
E dire che Ostuni con le sue frazioni si estende su ben 225 km² e in media di persone ce ne sono una cento cinquantina per km²!
E dire che Ostuni con le sue frazioni si estende su ben 225 km² e in media di persone ce ne sono una cento cinquantina per km²!
Il paragone non regge, lo ammetto. E poi ho smesso
di pensarla come una volta, di credere che Dio avrebbe fatto più fatica a
trovarmi in mezzo ai grattacieli che su un morso di costa.
Però una cosa dovete concedermela.
E questa cosa qui riguarda la solitudine.
Ci sono tanti tipi di solitudine quante sono le ragioni che la provocano.
Ce n’è una che ho provato tante volte e viene dall’incomprensione, una che profuma di libertà e indipendenza e non mi ha mai fatto paura. Poi c’è quella che riguarda le persone che ami, quando sono lontane e le vorresti abbracciare forte forte. Esiste la solitudine di pensiero, che ti coglie quando meno te l’aspetti, anche se sei in famiglia, a casa, con gli amici.
Ci sono tanti tipi di solitudine quante sono le ragioni che la provocano.
Ce n’è una che ho provato tante volte e viene dall’incomprensione, una che profuma di libertà e indipendenza e non mi ha mai fatto paura. Poi c’è quella che riguarda le persone che ami, quando sono lontane e le vorresti abbracciare forte forte. Esiste la solitudine di pensiero, che ti coglie quando meno te l’aspetti, anche se sei in famiglia, a casa, con gli amici.
Poi c’è questa qui, questa che provo stamattina, che
mi si attacca come una seconda pelle, come una tuta subacquea scura,
obbligatoria e facoltativa insieme. È la solitudine che accomuna tutti quelli
che hanno fermato la sveglia con me stamattina, pronti a riempire la giornata
intensamente, più intensamente possibile, perché altrimenti si muore, si
finisce per avere il tempo di aver paura, una paura che uccide.
Oggi, qui, guardandomi attorno, posso scorgere tutti
gli atti della mia vita, quelli passati, i presenti e i futuri. Posso
riconoscere quello che sono stata e immaginare ciò che sarò. Vedo addirittura
distintamente quello che non potrò e non vorrò mai essere.
Quanto e come vedo
stamattina!
Questa solitudine qui è originata dalla nostalgia
per l’attimo appena trascorso, quello mai più recuperabile, perso tra le rotaie
di quel tram e le gambe ammucchiate di tutta questa cazzo di gente.
Vedere un
così grande potenziale, strizzato tra le cinghie dell’economia e passato al
setaccio tra le maglie del tempo che incalza, mi provoca un dolore enorme, lo
sento nel petto. Si trasforma in solitudine quando mi accorgo di essere umana
tra gli umani, di respirare tra miliardi di respiri senza che nulla abbia più
un senso, perché il tutto diventa nulla…
Mi sento il fiato del tempo sul collo,
sento che qualcosa mi rincorre, accelero il passo, corro, scappo, ma da cosa??
Vorrei gridare: “Cosa diavolo corriamo tutti quanti?” “Dove?” “Ne vale la
pena?”
E allora io preferisco la solitudine della natura,
sì, decisamente. Preferisco la vivacità delle onde del mare, che fanno tanto
rumore per nulla, ma sanno fare rumore. Preferisco il vento, le cicale e le
lumache dopo la pioggia. Preferisco le cose che mi salvano dalla nostalgia
dell’attimo appena trascorso, quelle cose che se il tutto diventa nulla ci
pensano loro a farlo tornare ‘tutto’, incoraggiandoti eternamente.
Mi piace essere ingannata, sono debole, non sopporto
le facce del mondo buttate lì tutte insieme, nella mischia, a dichiarare che la
vita fa venire le rughe, le malattie e che bisogna mandare avanti il carro.
La
vita è bella.
E quando è brutta c’è il mare a ricordarcelo, ci sono le lumache
che si fanno una passeggiata sui muretti, l’odore delle polpette, un libro
letto sull’amaca che dondola.
Purtroppo a Milano il mare non c’è, le lumache
neppure… in un anno si fanno meno polpette del numero di abitanti di Ostuni e i
libri si leggono in metro, incastrati nei minuti che ci separano dai luoghi che
raggiungeremo, come se il posto dove ci sta portando la trama fosse meno
importante, meno reale.
Penso che sono cambiata molto.
E chissà quante altre volte cambierò.
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