sabato 18 aprile 2015

"C'è qualcosa nella morte che somiglia all'Amore..."



Morire è come nascere.
Non sai come e quando accadrà.
Aspetti.
Aspetti la morte così come si aspetta la vita. Temi la morte, come la vita.
Non esiste una soluzione a tutto questo. Accade e basta. Inizio e fine o, forse, fine ed inizio.
Noi non lo sappiamo, noi non sappiamo proprio niente di niente. Il motivo, la ragione profonda di tutto ciò. La fede che sviluppiamo serve ad aggrapparci alle cose che facciamo, a dare un senso, chè altrimenti tutto ci parrebbe sprecato, inodore, incolore, cadente, sotterraneo. Dobbiamo dare peso, perché la leggerezza non è di questa vita, non è della condizione umana, non sta nei limiti che abbiamo tracciato ed imposto a noi stessi.

Chi muore aspetta in silenzio, chiude gli occhi, delicatamente, come accompagnando pensieri di dolore. Li accoglie e li accantona, sempre delicatamente, con la poca forza che gli resta. Si guarda intorno e non riesce ad accettare l’idea di abbandonare tutto, di salutare i luoghi che l’hanno ospitato, divertito, annoiato.

Chi nasce aspetta in silenzio, apre gli occhi delicatamente, come accompagnando pensieri che non sa ancora come si pensano. Accoglie ed accantona segmenti di pensiero, con quella forza che da poca, presto, diverrà molta, immensa. Deve fare i conti con l’infinità di cose che vedrà, dovrà stare attento a quanto se ne affeziona, conoscerà il dolore che questo porta con sé, sempre, ovunque. Aspetterà di essere accolto e amato, coccolato e divertito. Aspetterà di annoiarsi.

Accarezzarti mi sporca le mani, ma di uno sporco bello. Accolgo tra le mie dita la polvere e la terra che hai raccolto su di te. Odora del tuo respiro e del tuo entusiasmo.
È bello accarezzarti. E lo sarà sempre.

Mi lavo le mani e ne viene fuori un colore simile al tuo. Un marroncino chiaro, quasi rossiccio. ‘Quanto ti amo’ penso. ‘Sei come me, TU come ME’, nel colore e nella stazza, nella convinzione, nelle ragioni profonde, nella testardaggine e nel modo di amare, disordinato e composto, pieno di dignità.

Sei un figlio, ma anche un padre, un amico, sei un compagno di giochi e sei l’amore della mia vita, quello in cui mi sono riflessa e in cui mi sono riconosciuta.
Quante cose per un cane!
Quando ho scattato questa foto eravamo un po’ tristi, è vero. Non siamo riusciti a sorridere, come facevamo di solito. Sapevamo di doverci lasciare e avevamo paura.
Quando ho scattato questa foto mi ricordo che poi abbiamo pure pianto, tutti e due, solo che le mie lacrime rigavano dritte il viso e precipitavano sul pavimento, sui miei pantaloni, sulle tue zampe.

Le tue di lacrime, invece, rimanevano sotto gli occhi e ne inumidivano i contorni.
Ci siamo guardati con l’aria di due vecchi amici, di quelli  che si intendono con un’occhiata.
Quello che ti ho detto lo pensavo davvero.
La morte ti ha ridato la vita.
E ora che non ci sei, anche se non ti posso vedere, anche se non ti posso toccare,
io TI SENTO,
ti immagino correre e abbaiare, spezzare le noci con i denti e rifiutarti di cedermi il pallone per giocare, ti vedo fermarti a metà della scala per dare la zampa, perché altrimenti non si passa!

E poi lo so che sei in buona compagnia, sono sicura anche di questo.
So che c’è chi ti lancia la palla e ti procura le noci. 

Quando ti penso, mi commuovo e poi sono felice, felice perché ci sei stato, hai colorato la mia esistenza e del tuo colore per sempre porterò la traccia.
Comportati bene e ricorda che ti amo e sono sempre con te “come all’inizio e fino alla fine”.
E la morte non è la fine.


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