lunedì 2 febbraio 2015

"Storia di una macchia"




A chi piacciono le macchie? A nessuno. Per alcuni sono addirittura molto fastidiose, a maggior ragione se non vengono via, se lasciano segni che non si possono lavare o sistemare.
Da piccoli ce ne facevamo di tutti colori: macchie sui vestiti, sul grembiulino, sull’astuccio dei colori, di sugo, di cioccolato, di penna, di colori a spirito, ma anche di terra umida, di ruggine, di erba…. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Crescendo è cambiata in noi la percezione dell’entità di una macchia.
Mi spiego meglio. 
Se prima era solo un incidente di percorso cui la mamma avrebbe facilmente posto rimedio con una bella lavata a sessanta gradi, una volta diventati più grandicelli siamo noi a dover risolvere il problema dello smacchiamento; cominciano a venirci mille dubbi su come trattare i nostri capi preferiti, iniziamo a capire che una minuscola macchia può addirittura cambiare il corso degli eventi nella nostra vita. (Pensate se un ragazzo lavandosi i denti distrattamente si sporca la camicia di dentifricio e nel cercarne una pulita accumula un ritardo utile a fargli perdere l’ultimo autobus per l’ultimo treno che lo avrebbe condotto all’appuntamento [di lavoro o galante] più importante della sua vita!) =O =O =D =D

A lungo andare impariamo che le macchie non ci piacciono, portano guai e proviamo a prevenirle, a fare più attenzione, ad essere meno distratti e incoscienti, meno menefreghisti.
E così come accade per la macchia, accade per la nostra coscienza, secondo il motto “MEGLIO PULITA CHE LAVATA” perché sporca proprio non la sopportiamo!

La storia della macchia è la storia di una tuta color melanzana, comoda e perfettamente calzante. La proprietaria ne è innamorata e ne ha cura, ma un giorno, sfortunatamente, si mette a tavola in maniera frettolosa, perché molto affamata, e nel portare alla bocca un carciofino sott’olio…. plof! Eccola lì! Una macchiona tonda ed unta di prima categoria!! Disperata, ma non prima di aver terminato il pasto(!), l’eroina procede ai primi tentativi di ripristinare lo status quo ante, ma con scarsi risultati, finché non avviene un fatto che elimina ogni possibilità di rimedio: la candeggina finisce per errore sulla macchia, bisogna dire addio al pantalone.
La proprietaria e la giacca della tuta si stringono intorno al pantalone e prendono l’estrema decisione: sostituirlo con un altro simile per colore e tessuto.
 
La triste storia dell’odiosa macchia è metafora della storia degli errori e degli atti che in maniera imprudente compiamo.
Se la nostra coscienza è il pantalone, la macchia d’olio e poi quella di candeggina sono i nostri errori, più o meno gravi, più o meno riparabili. E la giacca? La giacca sono le coscienze degli altri, i nostri simili, quelli che ‘fanno il paio con noi’, quelli a cui ci sentiamo affini per storia ed ideologie, per abitudini, comportamenti, forma mentis. E la tuta? La tuta è il nome che diamo ai modi in cui ci raduniamo, per categorie, per interessi pubblici o privati. La tuta sono anche i partiti politici.

Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι …

 

La storia della macchia insegna che quando all’interno di un’organizzazione, di un’associazione fatta di tante, numerose ‘coscienze’, una di queste per qualche motivo si macchia (più o meno gravemente) si può provare a smacchiarla o a nasconderne le pecche, ma laddove non c’è rimedio si deve sostituire o mettere da parte il capo sporco.
A chi verrebbe in mente di mettersi a macchiare tutta quanta la tuta per uniformare la macchia? Chi può imporre alle altre coscienze di sporcarsi per sentirsi meno in imbarazzo, per dividere la pena o il ridicolo, abbassando l’asticella dello sporco e dello schifo?

Questa storia parla alle coscienze sporche ‘in modo irreparabile’, agli ‘sporcaccioni’ che tentano ancora di dividersi le colpe, di reclutare pantaloni nuovi in ottimo stato per ridurli a brandelli. Prendetevi le vostre macchie e riciclatevi gratuitamente per qualcosa di buono! Lasciate che le giacche trovino pantaloni puliti! 

Io sono una romantica e credo ancora nelle coscienze pulite, nelle coscienze nuove che si macchiano di peccati ancora lavabili, comprensibili, giustificabili. Credo nell’onestà, in quella che traspare dagli occhi, quella che non ti lascia la possibilità di comportarti in modo diverso, che ti lega le mani a fare bene, quella che in questo mondo ti fa ancora soffrire.

Io sono una romantica e so che le giovani coscienze devono potersi sporcare da sole e non devono essere contaminate ‘per forza’ dalle vecchie, non devono ereditarne le macchie!

Io sono romantica e sono anche tanto contorta. La storia della macchia lo dimostra!  Ma credo che in qualche modo bisogna salvarsi e che da qualche parte si debba pur cominciare. Per forza, con più forza di quanta ce ne mettano gli ‘sporcaccioni’, perché "l’ESAME di COSCIENZA è autovalutato e non si può neppure copiare!"

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