A chi piacciono le macchie? A nessuno. Per alcuni
sono addirittura molto fastidiose, a maggior ragione se non vengono via, se
lasciano segni che non si possono lavare o sistemare.
Da piccoli ce ne facevamo di tutti colori: macchie
sui vestiti, sul grembiulino, sull’astuccio dei colori, di sugo, di cioccolato,
di penna, di colori a spirito, ma anche di terra umida, di ruggine, di erba…. E
l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Crescendo è cambiata in noi la percezione
dell’entità di una macchia.
Mi spiego meglio.
Mi spiego meglio.
Se prima era solo un incidente di percorso cui la mamma
avrebbe facilmente posto rimedio con una bella lavata a sessanta gradi, una
volta diventati più grandicelli siamo noi a dover risolvere il problema dello smacchiamento;
cominciano a venirci mille dubbi su come trattare i nostri capi preferiti,
iniziamo a capire che una minuscola macchia può addirittura cambiare il corso
degli eventi nella nostra vita. (Pensate se un ragazzo lavandosi i denti
distrattamente si sporca la camicia di dentifricio e nel cercarne una pulita
accumula un ritardo utile a fargli perdere l’ultimo autobus per l’ultimo treno
che lo avrebbe condotto all’appuntamento [di lavoro o galante] più importante
della sua vita!) =O =O =D =D
A lungo andare impariamo che le macchie non ci
piacciono, portano guai e proviamo a prevenirle, a fare più attenzione, ad
essere meno distratti e incoscienti, meno menefreghisti.
E così come accade per la macchia, accade per la
nostra coscienza, secondo il motto “MEGLIO PULITA CHE LAVATA” perché sporca
proprio non la sopportiamo!
La storia della macchia è la storia di una tuta
color melanzana, comoda e perfettamente calzante. La proprietaria ne è
innamorata e ne ha cura, ma un giorno, sfortunatamente, si mette a tavola in
maniera frettolosa, perché molto affamata, e nel portare alla bocca un
carciofino sott’olio…. plof! Eccola lì! Una macchiona tonda ed unta di prima
categoria!! Disperata, ma non prima di aver terminato il pasto(!),
l’eroina procede ai primi tentativi di ripristinare lo status quo ante, ma con scarsi risultati, finché non avviene un
fatto che elimina ogni possibilità di rimedio: la candeggina finisce per errore
sulla macchia, bisogna dire addio al pantalone.
La proprietaria e la giacca della tuta si stringono intorno al pantalone e prendono l’estrema decisione: sostituirlo con un altro simile per colore e tessuto.
La proprietaria e la giacca della tuta si stringono intorno al pantalone e prendono l’estrema decisione: sostituirlo con un altro simile per colore e tessuto.
La triste storia dell’odiosa macchia è metafora
della storia degli errori e degli atti che in maniera imprudente compiamo.
Se la nostra coscienza è il pantalone, la macchia d’olio e poi quella di candeggina sono i nostri errori, più o meno gravi, più o meno riparabili. E la giacca? La giacca sono le coscienze degli altri, i nostri simili, quelli che ‘fanno il paio con noi’, quelli a cui ci sentiamo affini per storia ed ideologie, per abitudini, comportamenti, forma mentis. E la tuta? La tuta è il nome che diamo ai modi in cui ci raduniamo, per categorie, per interessi pubblici o privati. La tuta sono anche i partiti politici.
Se la nostra coscienza è il pantalone, la macchia d’olio e poi quella di candeggina sono i nostri errori, più o meno gravi, più o meno riparabili. E la giacca? La giacca sono le coscienze degli altri, i nostri simili, quelli che ‘fanno il paio con noi’, quelli a cui ci sentiamo affini per storia ed ideologie, per abitudini, comportamenti, forma mentis. E la tuta? La tuta è il nome che diamo ai modi in cui ci raduniamo, per categorie, per interessi pubblici o privati. La tuta sono anche i partiti politici.
Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι …
La storia della macchia insegna che quando all’interno di un’organizzazione, di
un’associazione fatta di tante, numerose ‘coscienze’, una di queste per qualche
motivo si macchia (più o meno gravemente) si può provare a smacchiarla o a
nasconderne le pecche, ma laddove non c’è rimedio si deve sostituire o mettere da parte il capo
sporco.
A
chi verrebbe in mente di mettersi a macchiare tutta quanta la tuta per
uniformare la macchia? Chi può imporre alle altre coscienze di sporcarsi per sentirsi
meno in imbarazzo, per dividere la pena o il ridicolo, abbassando l’asticella
dello sporco e dello schifo?
Questa storia parla alle coscienze sporche ‘in modo
irreparabile’, agli ‘sporcaccioni’ che tentano ancora di dividersi le colpe, di
reclutare pantaloni nuovi in ottimo stato per ridurli a brandelli. Prendetevi
le vostre macchie e riciclatevi gratuitamente per qualcosa di buono! Lasciate
che le giacche trovino pantaloni puliti!
Io sono una romantica e credo ancora nelle coscienze
pulite, nelle coscienze nuove che si macchiano di peccati ancora lavabili,
comprensibili, giustificabili. Credo nell’onestà, in quella che traspare dagli
occhi, quella che non ti lascia la possibilità di comportarti in modo diverso,
che ti lega le mani a fare bene, quella che in questo mondo ti fa ancora soffrire.
Io sono una romantica e so che le giovani coscienze
devono potersi sporcare da sole e non devono essere contaminate ‘per forza’
dalle vecchie, non devono ereditarne le macchie!
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